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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Variante per il parco fluviale Marzenego, si rinfocola il dibattito

I comitati chiedono la parola sull'ex area Umberto I. «Salvaguardare la memoria storica e ricostruire gli elementi identitari come in altre città. Pronti a presentare osservazioni»

«Era l'estate scorsa, il 16 luglio 2019. Noi eravamo lì a Mestre, nello studio della dottoressa Federica Candiotto, curatore fallimentare, ad attendere l'apertura delle buste della gara di aggiudicazione dell'area», ricorda Monica Coin del comitato Ex Umberto I. Martedì sera la portavoce è ospite a Villa Settembrini di Roberto Stevanato, dell'associazione Mestre Domani, e dell'architetto Gianfranco Vecchiato. È qui per esporre le preoccupazioni sorte dopo l'approvazione in giunta della Variante 52 al Piano degli interventi, per la realizzazione del Parco fluviale del Marzenego, che coinvolge tutta la superficie del vecchio nosocomio. Dopo anni di annunciate acquisizioni e aste deserte, quel giorno di luglio è stato il fondatore della catena padovana di supermercati Alì, Francesco Canella, ad aggiudicarsi l'area per 26 milioni, da una base di partenza di 15. Forse non immaginando, che al contrario del suo valore economico, in picchiata per colpa della crisi del mercato edilizio, quello affettivo è andato aumentando. Tanto che attorno a questa zona e allo studio delle radici storiche e archeologiche, probabilmente risalenti al 1200, sono nati comitati e sorte associazioni il cui atteggiamento protettivo sta diventando sempre più forte.

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L'accordo fra privati

«Partiremo da un primo tratto, per poi comprendere tutta l’asta del fiume - si apprende dalla spiegazione della delibera di giunta - e questo esempio dovrà essere portato avanti su tutti gli altri canali e fiumi che confluiscono sulla laguna di Venezia, per arrivare al progressivo disinquinamento, anche con l’apporto dei privati. Il Parco fluviale – ha detto il sindaco Brugnaro - serve per recuperare la storia della città. Se prima gli edifici davano il retro verso il Marzenego, ora la prospettiva dovrà ribaltarsi. E ancora, si pone un vincolo di tipo urbanistico su un’area agricola, demandando alla contrattazione con i privati la compensazione urbanistica: attraverso cessione di crediti edilizi o trasferimenti di cubatura riusciremo ad ottenere queste aree senza impegni di spesa per il Comune e senza coercizione. Si tratta - conclude la giunta - di un riscatto ambientale della città di terraferma, un sistema di forestazione per ottenere quartieri sempre più ecologici».

Gli alberi e le promesse

Ma un piano urbanistico «non rispettoso della storia di questo posto», i comitati pensano che non farà molta strada. «Il privato rinuncerà alle cubature in relazione a vincoli ambientali apposti nell'area del Marzenego. Ma il privato non è un benefattore e, attraverso i crediti edilizi, guadagnerà facoltà edificatoria altrove, quindi acquisterà 100 mila metri cubi di cemento spendibili all'interno della città», dice Coin. E riprende lo stesso ragionamento per il parcheggio. Rimarrà pubblico, resterà diposnibile, ma a che prezzo per i cittadini? «La contropartita non è ancora stata resa esplicita, neppure da parte di Alì. Sarò contenta se saprò di essermi sbagliata - dice la portavoce, cha fa anche parte del gruppo Mestre Mia -. Ho la sensazione che sia un'operazione di finta ecologia. Sono venuti meno alberi in via Tinto, in area aeroporto, nel quartiere Altobello. In cambio il Comune stanzia 90 mila euro e promette 150 nuove piantumazioni, ma con quella cifra cosa pianteranno a Dese? Si fa capire che cisaranno più alberi e meno cemento, ma la paura è che alla fine dell'operazione il risultato sarà il contrario. Siamo pronti a presentare a ogni discussione le nostre osservazioni».

Il castrum

«Nessuno nega - afferma Stevanato - che il privato debba trarre frutto dall'investimento, ma per noi tutta l'area è memoria storica e gli uomini senza la loro storia sono come alberi senza radici. Vogliamo che le scelte vengano fatte dialogando. Qui ci sono edifici come la casa delle suore, riadattata, con le mura e le colonne che risalgono al dodicesimo secolo, con capitelli duecenteschi. Doveva essere forse la casa del capitano del castello o la sede del vescovo che arrivava da Treviso. Di certo la testimonianza storica e archeologica è straordinaria. Quando è stato fatto il monoblocchino e si è scavato in profondità, sono venute in superficie parti di anfore, tessere di mosaico, pezzi di lapide, ne siamo venuti a conoscenza solo recentemente. Sotto al manto erboso ci potrebbero essere reperti anche del castrum romano. Solo questo meriterebbe l'attenzione del sindaco: la salvaguardia di queste vestigia. Dire, come si è sentito, che si vuole buttare giù tutto e rifarlo nuovo, non fa che perpetrare le malefatte di cui il parco Ponci è la madre degenere di tutte».

Ricostruire l'identità

La vicenda mestrina ha molto in comune con ciò che successe in varie altre città europee, rase al suolo durante il periodo bellico e per necessità velocemente ricostruite, spiega invece l'architetto Vecchiato. «Città come Francoforte sul Meno con il tempo sono state rivisitate. Le nuove generazioni hanno chiesto di riappropriarsi di ciò che rappresentavano. Così una zona storica strategica, attorno alla quale si è sviluppato in fretta un grande agglomerato, negli ultimi anni è stata oggetto di un intervento radicale, con la ricostruzione, in 9 anni, dell'elemento identitario di Francoforte. Come i cittadini avevano chiesto. La stessa questione qui è a scala locale ma ha una valenza europea, trattandosi di Venezia. Dopo 10 anni di attesa vogliamo capire quando ci sarà un incontro pubblico e con quale metodologia si presenteranno queste trasformazioni alla città».
 

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