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«Chi lavora da casa, chi dovrà stare a casa»: protesta degli addetti mensa delle Poste

La manifestazione Filcams di mercoledì in via Torino contro il licenziamento degli addetti alla ristorazione licenziati perché gli impiegati restano in smart working

«Da una parte c'è chi lavora da casa, dall'altra chi dovrà stare a casa». Undici lavoratrici della mensa e un cuoco dei servizi di ristorazione dedicati agli impiegati delle Poste, hanno protestato davanti alla sede di via Torino, mercoledì, che ha deciso di lasciare i dipendenti degli uffici in smart working per tutto il 2021. Per loro significa perdere il lavoro. Sono stati licenziati dalla ditta in appalto Tebet, che ha rotto il contratto con le Poste, e hanno chiesto che sia Poste Italiane a riassumerli come dipendenti diretti. In cassa integrazione, come loro, ci sono i 40 colleghi del servizio mensa delle assicurazioni Generali di Mogliano, alcuni di loro sono andati a portargli solidarietà.

Per i sindacati, «il prossimo passo sarà perciò bloccare il Terraglio - afferma Andrea Brignoli Filcams Cgil - Il Covid non può togliere il diritto alla mensa sul lavoro, guadagnato con anni di lotte». Ai licenziati Tebet per ora resta l'assegno di disoccupazione. Ma rischiano di non prenderlo. Infatti per averlo serve aver lavorato almeno un mese effettivo nel corso dell'anno e questo non è avvenuto: sia a causa della chiusura Covid, dal 23 febbraio 2020, sia per aver trascorso tutto il mese di gennaio in sciopero contro la ditta precedente che non li aveva pagati per tre mesi, per poi fallire. «A pagare negli appalti sono quasi sempre le donne. È una segregazione di genere, andremo dal governatore Zaia», afferma la segretaria Filcams Monica Zambon. Vicina la disdetta anche per i servizi mensa dell'agenzia delle Entrate di Marghera, con altri dieci licenziamenti. «Con l'Euroristorazione proverò a fargli avere una possibilità di ricollocazione», conclude Brignoli.

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