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Letti vuoti e operatori in cassa integrazione nelle case di riposo

La Funzione Pubblica Cgil del Veneto: «Alcune cooperative avrebbero sospeso dal lavoro operatori socio-assistenziali. Il rischio è che l’ammortizzatore venga utilizzato in modo poco chiaro»

Personale sanitario e assistenziale delle case di riposo messo in cassa integrazione. È quanto risulterebbe da segnalazioni arrivate alla Funzione Pubblica Cgil del Veneto da parte di operatori di alcune cooperative sociali dei territori provinciali. «Serve una verifica della Regione - scrive il sindacato - Nei confronti di alcuni lavoratori con qualifiche socio-assistenziali qualche azienda starebbe utilizzando gli strumenti di sostegno al reddito».

«Situazioni simili - afferma Stefano Bagnara, segretario della Funzione Pubblica Cgil del Veneto - le avevamo rilevate anche nella prima fase della pandemia, in particolare per quei lavoratori del sistema assistenziale che operavano nei centri diurni chiusi, ma in questa fase appare una soluzione poco comprensibile. Da un lato si continua ad affermare l’insufficienza di personale, in particolare nelle rsa (residenze per anziani), dall’altro chi quel personale ce l’ha lo mette in sospensione chiedendo l’utilizzo del Fondo integrativo salariale (Fis)».

La giustificazione per la sigla potrebbe risiedere nel fatto che in molte case di riposo i servizi sono stati appaltati e che a fronte del blocco dei nuovi ingressi di anziani, e a causa delle tante morti, l’aumento dei posti letto vuoti si traduca in dichiarazioni d’esubero di personale. «Pensiamo - prosegue Bagnara - che dentro una logica di solidarietà si potrebbero costruire le condizioni per continuare a far lavorare quelle persone, consentendo loro di continuare a percepire una retribuzione anziché un sostegno al reddito. Il rischio è che l’ammortizzatore possa essere utilizzato in modo poco chiaro - conclude - e per abbattere i costi della crisi dovuta a mancanza di entrate. Auspichiamo la Regione effettui le verifiche e intervenga».

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