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Martedì, 30 Aprile 2024
Cronaca Mestre Centro

La guerra interna tra i bengalesi a Mestre. I parenti dei feriti intervengono: «Questa è la verità»

Cinque feriti in Italia, 15 in Bangladesh nella notte della guerriglia di giovedì in via Monte Nero. «Un uomo che non c'entrava ucciso per incolpare la mia famiglia. La rabbia di un sindaco per la dignità offesa. I miei fratelli pestati e un amico ladro»

Le liti furiose sfociate nella guerriglia di giovedì sera fra due gruppi opposti di cittadini bengalesi a Mestre, sono il risultato di alcune vicende, una in particolare a cui ha fatto seguito una querela per furto, accadute a partire dalla fine del 2022. A raccontarlo, desiderando fare chiarezza su quanto è stato detto in questi giorni, sono i famigliari dei bengalesi picchiati giovedì tra via Podgora, via Monte Nero e via Cavalieri di Vittorio Veneto. Fanno tutti parte dello stesso gruppo e si contrappongono alla fazione "nemica" della medesima associazione, che si chiama Abdullahpur shomiti. "Abdullahpur" è il nome del villaggio bengalese nel distretto di Kishoreganj (a nord-ovest del Bangladesh) dal quale provengono numerosi bengalesi stanziati a Mestre. Nei giorni scorsi c'è stato il rinnovo delle cariche di questa organizzazione, nata con obiettivi di mutuo soccorso e, come spiega uno dei fratelli feriti negli scontri, con il dovere di aiutarsi reciprocamente in caso di necessità.

Se il sostegno economico è importante, lo sono molto di più i valori del clan: cioè la lealtà, la parola data, l'onore e il rispetto. Al punto che tra un furto di denaro e la rottura di un patto fra famiglie, la cosa più odiosa non è l'ammanco, ma il tradimento, il non aver mantenuto la promessa. Occorre fare un passo indietro a quanto accaduto alla fine del 2022. Quando si è consumata la rottura di un'amicizia, a seguito di un furto e di un tradimento della fiducia, fra due giovani che oggi di fatto si trovano vicini ai vertici dei due gruppi contrapposti dell'associazione Abdullahpur shomiti. Nel 2022 da un paio d'anni ormai aveva aperto il suo centro servizi e money transfer, in via Poerio, il 33enne bengalese A.M., ex studente di Ca' Foscari ed ex lavoratore del Casinò di Venezia.

L'amicizia

Nella sua cerchia di amicizie gli si era avvicinato sempre di più MD.Y.A., coetaneo, che abita a Venezia centro storico e fa il cameriere in un ristorante. Frequentava 3 o 4 giorni alla settimana il money transfer, approfittando della pausa pranzo e del giorno di riposo, il giovedì, per andare a trovare A.M., che peraltro gli aveva fatto dei piccoli piaceri anche perché si conoscono da quando erano bambini e giocavano nel loro villaggio bengalese. MD.Y.A. era appena tornato a Venezia tra l'altro, dopo un periodo trascorso ad Abdullahpur in occasione della campagna elettorale del fratello, eletto neo-sindaco della località. A.M. e MD.Y.A. si legano sempre di più. Vanno fuori a mangiare, a bere, e quando il titolare del money transfer è impegnato con l'attività, che gli assorbe tantissimo tempo, l'amico gli sta vicino e - racconta  A.M. - «anche se non mi aiutava con le pratiche, perché non era in grado di farle, rimaneva sempre al banco del negozio vicino a me». 

Gli ammanchi, i video e l'accordo

Ai primi di ottobre A.M. si accorge che c'è qualcosa che non va: al money iniziano a mancare soldi. «Dovevo fare versamenti per ventimila euro, ad esempio, e me ne trovavo 19 mila. Davo la colpa a me stesso per non aver contanto bene le somme ricevute dai clienti e andavo dai miei parenti a chiedere denaro per coprire la differenza, prendendo un sacco di rimproveri perché credevano che sperperassi somme per divertimento o spese».

Passano i mesi, si ripetono gli ammanchi, l'attività però va molto bene e A.M. assume suo cognato. A un certo punto, per i contanti che mancano, comincia a dubitare di lui. Ne parlano e A.M. piazza una telecamera nel negozio.  MD.Y.A. continua intanto a fargli visita, a stargli vicino, a invitarlo a bere, a distrarlo perché dice che lo vede molto preoccupato. E si arriva a ottobre del 2023, racconta A.M. «Mio cognato mi fa notare una sera che mancano 1.200 euro e decidiamo di guardare il video della giornata. Da lì vediamo  MD.Y.A. che si avvicina ai cassetti. Tuttavia non oso dubitare del mio amico e dico, "non può essere". Mi confronto con altri parenti e decidiamo di tacere con  MD.Y.A. continuando a registrare le immagini. Vengono a mancare altri soldi e i video infine inchiodano il mio amico che, messo davanti ai fatti, ammette il furto e dice che restituirà tutto». Una cifra importante. Tanto che vengono coinvolti i famigliari di A.M. e quelli di  MD.Y.A. a un tavolo, per decidere il da farsi. «Il sindaco, fratello di  MD.Y.A., dal Bangladesh implora di non essere infangato e disonorato, dicendo che troveranno il modo di pagare e chiedendomi di stabilire il valore dell'ammanco, che io affermo essere di 120 mila euro». 

La rottura

 MD.Y.A. e la sua famiglia fanno capire di rispettare la decisione di A.M. «però deve rimanere tutto segreto, dicono, ma passano i mesi e all'inizio di quest'anno ancora  MD.Y.A. e la sua famiglia non mi avevano restituito niente. Anzi, si sono rimangiati la parola data, asserendo che il loro onore era stato leso, la dignità distrutta, e perciò non avrebbero pagato più». A.M. sporge allora querela tramite avvocato e MD.Y.A., sostenuto da una fazione dell'associazione shomiti, apre ufficialmente la guerra alla famiglia dell'ex amico, con la spedizione punitiva di martedì 2 aprile, dove oltre alla lite e ai diverbi scoppiati in via Allegri a Mestre tra decine di bengalesi, in via Cavallotti verso le 18 viene aggredito e buttato a terra il fratello più piccolo di A.M., mentre pedala verso via Podgora, dove abita l'altro fratello, e ha una torta in mano che aveva comprato per la nipote (sotto l video).

A ogni azione scatta una reazione, e si arriva a giovedì 4 aprile. Una quarantina di persone attraverso via Piave arrivano in via Podgora e scoppia la guerriglia. «Hanno chiamato mio fratello (titolare del Caf di via Piave) - dice A.M. - e lui non ha risposto. Poi gli aggressori si sono nascosti e mentre lui scendeva per vedere chi c'era gli hanno teso un agguato con martelli, roncole, mattoni e catene delle biciclette». E giù botte: alla testa, alla schiena, alle mani. I residenti chiamano i carabinieri, ma ormai è tardi. Cinque i feriti dell'agguato, tre portati all'ospedale, non in pericolo di vita. Il titolare del Caf arriva al Pronto soccorso con un buco in testa e anche se viene dimesso sta talmente male che torna all'ospedale il giorno dopo. La polizia non ha arrestato nessuno ma ha sentito diverse persone sui fatti; in molti si augurano che vengano presi provvedimenti per evitare altri confronti a Mestre. «Ho fiducia nella legge - dice A.M. - ho consegnato video, registrazioni e trascrizioni riguardanti il furto alla polizia. Spero di avere giustizia».

L'accusa

Dal Bangladesh i parenti di MD.Y.A. venuti a sapere della rissa a Mestre, ne scatenano una ancora più grave. «Nel nostro villaggio contemporaneamente è scoppiata una rissa feroce - commenta A.M. - al punto che hanno preso a sassate le finestre della casa di mia sorella e aggredito, mentre erano in pregiera, i miei genitori». Ad Abdullahpur i feriti sono stati il triplo di quelli mestrini, almeno una quindicina. E negli scontri, raccontano a Mestre, è morto un uomo. «Un pregiudicato, ricercato dalla polizia, Aktar Mia di circa un 55 anni, per la scomparsa del quale la polizia del Bangladesh ha fermato il sindaco, fratello di MD.Y.A - le parole di A.M. - Mi dispiace molto che questa persona, seppur in difetto con la legge perchè aveva rapinato una gioielleria, sia finita in mezzo a uno scontro del quale non aveva colpa. Il sindaco - dice ancora A.M. - voleva far ricadere la colpa sulla mia famiglia, ma c'erano dei testimoni e hanno visto».

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