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«Pfas nel suolo», l'allerta del comitato No Inceneritore

Alcuni saggi sui terreni della laguna avrebbero dato risultati assimilabili a quelli riscontrati a ridosso della Miteni

La rete ambientalista veneziana torna a rivolgere i suoi riflettori sul caso Pfas, il maxi inquinamento da derivati del fluoro attribuito alla trissinese Miteni: una industria chimica oggi fallita e a processo per disastro ambientale. In una nota diffusa il 17 febbraio da Mattia Donadel, figura di spicco dei comitati ecologisti locali, si dà conto di come questa contaminazione potrebbe aver interessato pesantemente il distretto industriale di Marghera.

Secondo VicenzaToday questa preoccupazione è corroborata da uno studio che mostrerebbe come, proprio a Marghera, la concentrazione di questi composti abbia toccato soglie molto elevate. Questo, almeno, è il responso di un saggio indipendente condotto proprio dai comitati. Il dato eclatante è che i livelli rilevati sono, in molti casi, addirittura maggiori di quelle riscontrati a suo tempo attorno alla Miteni di Trissino. È per questa ragione che il coordinamento torna a chiedere a gran voce che si blocchino realizzazione e potenziamento degli inceneritori, anche di fanghi,  che la municipalizzata Veritas sta progettando a Fusina e dintorni.

«L'inquinamento da Pfas è molto più grave di quello che ci vogliono far credere - si legge nella nota - e i nostri campionamenti indipendenti sono la riprova che anche il territorio intorno a Porto Marghera è pericolosamente esposto a questo tipo di contaminazione. Un elemento pesantissimo che va a peggiorare ulteriormente il quadro ambientale nell'area metropolitana di Venezia. Chiediamo una indagine approfondita da parte dell'agenzia ambientale della Regione Veneto e lo stop immediato agli inceneritori di Eni Rewind e di Veritas. Invitiamo i cittadini, ma anche le autorità a partecipare all'assemblea popolare convocata per il 22 febbraio alle ore 18 al teatro Aurora a Marghera per discutere insieme di questa drammatica situazione e dei rischi per la salute e per l'ambiente».

Non è la prima volta che timori del genere vengono messi nero su bianco. «Il Coordinamento No Inceneritore - si legge ancora - aveva deciso di ricercare i Pfas nei terreni dopo che, dal precedente studio sulle uova di galline allevate in pollai familiari, erano state riscontrate concentrazioni altissime di diossine, bifenili policlorurati ossia Pcb e per l'appunto anche di Pfas». E ancora: «Il campionamento, per ragioni di costi, ha riguardato solo due punti nei pressi di Malcontenta: precisamente un campione di terreno è stato prelevato in un parco giochi in via Moranzani, e l'altro in un'area verde incolta lungo la stessa via ma molto più vicino alla centrale Enel e all'inceneritore di Fusina». I comitati precisano che i campionamenti sono stati effettuati sulla parte più superficiale del suolo fino a una profondità di circa venti centimetri, seguendo tutte le procedure del caso e affidando le analisi a un laboratorio certificato e accreditato con sede nel Veneto.

Donadel spiega anche come in passato la Regione Veneto abbia suddiviso i territori esposti alla contaminazione da Pfas in zona rossa, zona arancio, zona gialla e zona bianca. Alla grossa la rossa afferisce alle aree a partire da Lonigo che tra Vicentino, Veronese e Padovano sono state maggiormente interessate dalla contaminazione da Pfas attribuita alla Miteni. Arancio e giallo sono i colori in cui il fenomeno è meno grave ma meritevole di attenzione. Bianche invece sono le zone in cui la contaminazione toccherebbe soglie assimilabili con quelle del resto del Paese. Tuttavia, come in passato era già emerso, almeno in Europa, sono moltissimi i siti in cui queste presenze oltrepasserebbero le soglie di guardia. Basti pensare alle rivelazioni del quotidiano Le Monde.

Non è chiaro se la contaminazione scoperta dalla rete ecologista veneziana sia attribuibile, direttamente o meno, alla Miteni. Tuttavia i valori riscontrati, a giudizio degli attivisti, renderebbero superata la suddivisione del Veneto in tre aree, tanto da rendere necessario un monitoraggio a tappeto. Non solo perché i Pfas, a causa dei cascami dell'affaire Miteni, si sarebbero diffusi seguendo il bacino di falda dell'Agno-Guà, fino all'Adriatico: ma anche perché la presenza di questi contaminanti «ubiquitari» potrebbe essere tranquillamente attribuibile anche ad altre fonti: fra questi i cantieri delle grandi opere.

Donadel snocciola i numeri rilevati sul campo. «Nel primo campione... la concentrazione di Pfos+Pfoa, due dei composti più noti tra la famiglia dei Pfas, è risultata pari a 3,37 microgrammi per chilogrammo di sostanza secca, mentre la somma totale di Pfas si attesta su un valore di 4,3 microgrammi al chilo». Va molto peggio per il secondo campione, quello più vicino all'inceneritore di Veritas, che registra «9,6 microgrammi per chilo di sostanza secca mentre per Pfos e Pfoa la somma totale di Pfas è di 10,6 microgrammi su chilo di sostanza secca».

«Per avere un parametro di riferimento - si legge - basti pensare che la media riscontrata della somma di Pfoa e Pfos in 5700 campioni raccolti in più di 1400 aree in tutto il mondo, che comprendevano giardini residenziali, campi agricoli, cortili di scuole, siti commerciali e parchi, è stata di 5,4 microgrammi su chilo», posto che comunque queste sostanze non sono presenti in natura e derivano solo dalle attività umane.

L'articolo completo su VicenzaToday.

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