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Martedì, 30 Aprile 2024
la vertenza

Ravensburger vince contro le Gallerie dell'Accademia: potrà vendere i puzzle con l'Uomo Vitruviano

Il tribunale di Stoccarda ha chiarito: la sentenza del Tribunale di Venezia non vale in Germania, l'azienda potrà usare il disegno di Leonardo senza pagare i diritti d'immagine. Il Ministero: «Ricorreremo»

Non è finito come sperato il tentativo  delle Gallerie dell'Accademia di Venezia - insieme all'Avvocatura dello Stato - di far pagare a Ravensburger i diritti d'immagine per i puzzle che rappresentano l'Uomo Vitruviano, il celeberrimo disegno di Leonardo da Vinci conservato proprio alle Gallerie dell'Accademia (ma raramente esposto al pubblico, per ragioni conservative). Il Tribunale di Stoccarda, cui Ravensburger si era rivolto per difendersi, come anticipato dal Corriere della Sera ha chiarito che il Codice dei Beni Culturali e i regolamento ministeriali italiani, che prevedono il pagamento dei diritti d'immagine sulle foto che rappresentano beni culturali di proprietà dello Stato, non hanno valore fuori dai confini italiani.

L'intricata vicenda era iniziata nel 2020, quando le Gallerie dell'Accademia, da anni impegnate nell'ottenere il pagamento dei diritti d'immagine sull'Uomo Vitruviano, aveva cercato un accordo con Ravesburger, senza trovarlo. «Ravensbuger, con le aziende collegate sarebbe stata disponibile a corrisponderci una quota di royalty sulle vendite del loro puzzle solo sul territorio nazionale, ma non all’estero e non online e allora siamo stati costretti all’azione legale» ha spiegato qualche mese fa al Giornale dell'Arte il direttore delle Gallerie dell'Accademia Giulio Manieri Elia. Il 17 novembre 2022 (ma la notizia pubblica risale al febbraio 2023) il Tribunale di Venezia aveva dichiarato che Ravensburger non potesse utilizzare l'immagine per fini commerciali, senza autorizzazione e senza pagare i diritti, ordinando anche a Ravensburger di pagare 1500 euro a favore del ministero della Cultura, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordinanza. Era una sentenza estremamente innovativa, perché per la prima volta riguardava una società non italiana, anche relativamente vendite fuori dall'italia e a siti internet la cui sede non sia localizzabile in Italia. Dall'avvocatura dello Stato, che aveva assitito il Ministero della Cultura, era quindi considerata un possibile apripista anche per altri musei. «Speriamo ancora di raggiungere un’intesa con l’azienda tedesca senza andare al giudizio di merito che dovrebbe anche servire a quantificare il risarcimento danni per il prolungato uso non autorizzato dell’immagine dell’Uomo Vitruviano per i puzzle» dichiarava allora il direttore delle Gallerie.

Non è andata così. Ravensburger nel luglio scorso si è rivolta al tribunale delle imprese di Stoccarda, dove ha sede l'azienda, dato che secondo i suoi legali l’immagine dell’Uomo Vitruviano sarebbe stata liberamente riproducibile in base alla legge sul diritto d’autore, perché trascorsi molto più dei 75 anni previsti per il divieto. L’azienda si rifiutava, in ogni caso, di riconoscere la validità a livello internazionale della legislazione italiana. Pochi giorni fa, i giudici hanno dato ragione all'azienda di Stoccarda: «Ogni ordinamento giuridico nazionale - spiega la sentenza - è limitato al rispettivo territorio nazionale. Questo principio di territorialità è generalmente riconosciuto dal diritto costituzionale internazionale ed è espressione della sovranità di ciascuno Stato. Ciò significa che una legge italiana, come questa per la tutela del patrimonio culturale, è valida solo sul territorio italiano». Parola fine, per ora, alle speranze dei musei italiani di vedersi riconosciuti i diritti d'immagine anche all'estero e online. Nessun commento dalle Gallerie dell'Accademia, mentre il Ministero della Cultura, interpellato, è netto:  «La sentenza di Stoccarda è abnorme, e sarà impugnata dal Ministero della cultura davanti ad ogni tribunale, nazionale, internazionale e comunitario» che l'Avvocatura dello Stato proporrà. Secondo gli uffici ministeriali, Ravensburger, portando la causa in Germania, «avrebbe violato un principio elementare di diritto comunitario che determina la giurisdizione per il riesame delle decisioni rese dai tribunali nazionali».

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