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Cronaca

Strage del bus di Mestre. Le testimonianze dei sopravvissuti

Riportate dalla società Giesse che ne assiste alcuni. «La tragedia peggiore è stata sopravvivere all’incidente perché ho perso tutto». Gottardo: «Ancora non è possibile alcuna costituzione di parte civile»

Mentre per le vittime della strage del pullman di Mestre la compagnia assicurativa Allianz, che tutela la società di bus La Linea, ha erogato i primi parziali risarcimenti, la società Giesse che assiste alcuni sopravvissuti racconta le loro testimonianze. 

«Quello che è accaduto a Mestre il 3 ottobre scorso, quando il bus di linea è caduto dalla rampa, 21 persone sono rimaste uccise e altre 15 ferite, è per certi aspetti una tragedia nella tragedia. Due famiglie ucraine che assistiamo e che erano scappate da Cherson, quindi dalla guerra, rifugiandosi in Croazia hanno trovato la morte durante una gita a Venezia», scrive Giesse.

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 Kateryna Morozova di 43 anni, ha perso entrambi i genitori e la figlia di 12 anni. «La tragedia peggiore è stata sopravvivere all’incidente perché ho perso tutto - ricorda - tutta la mia vita è scomparsa in un’istante e purtroppo ripenso a quell’inferno come se fosse ieri. Mia figlia era seduta nei sedili posteriori coi nonni. Stavamo tornando da una gita a Venezia, per la bambina doveva essere una giornata indimenticabile, invece si è trasformata un incubo. All’improvviso, ho sentito il rumore dell’autobus che grattava contro il muretto e poco dopo stavamo volando nel vuoto. Non ho mai perso conoscenza. Ho cercato di raggiungere i miei genitori, aggrappandomi ai sedili del bus, ma purtroppo erano già morti. Mia figlia, invece, era incastrata sotto il corpo di mio papà e non riuscivo a liberarla. Poi ha preso fuoco l’autobus. Ho sentito delle voci che mi chiamavano dall’esterno dell’autobus, dicendomi di uscire, ma ho risposto: “Io senza mia figlia non esco”. A quel punto una persona ha rotto il finestrino, è riuscita ad aggrappare la mano di mia figlia, e ci ha tirate fuori entrambe. Ripeto: la sofferenza più grande è stata sopravvivere a mia figlia».

Massimo Gottardo, consulente di Giesse spiega che con i legali la società sta seguendo le indagini penali. «Ovviamente, in questa fase non è possibile alcuna costituzione di parte civile. L’unica perizia finora depositata è l’autopsia sul conducente, per il resto rimaniamo in attesa delle altre consulenze disposte dal pubblico ministero. Noi assistiamo due famiglie ucraine da Cherson e tre dal Donbass – aggiunge Gottardo, di Giesse – Di queste ultime, in particolare, fanno parte i genitori di tre ragazze di 30 anni, amiche d’infanzia, che si erano ritrovate a distanza di anni proprio per fare un viaggio insieme a Venezia e poi a Roma. Purtroppo, hanno trovato la morte a Mestre. Sono storie terribili. Tutte chiedono a gran voce giustizia: scappate dalla guerra, hanno trovato la morte qui da noi. Non a causa di una bomba o di una mina anti-uomo ma a seguito di un incidente stradale sulle cui responsabilità penali sta indagando la Procura. Oltre alla tragedia che hanno vissuto, queste famiglie devono convivere dei disagi fortissimi perché da oltre due anni sono costrette a vivere all’estero, lontane dal loro paese, con tutte le difficoltà immaginabili anche in termini di cure. Kateryna, ad esempio, che ha riportato fratture gravissime, tra cui quelle del bacino, delle vertebre cervicali e dorsali, e del piede, si trova a 40 chilometri dall’ospedale più vicino ed è sola».

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