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Economia Marghera / Porto Marghera

Fondi del piano di ripresa e resilienza, Bettin: «Niente per Porto Marghera»

Oggi il Recovery italiano del premier Mario Draghi va in Parlamento. Un totale di 222,1 miliardi di euro d'investimenti per l'Italia

«Non sembrano esserci buone notizie per Porto Marghera nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). A fronte di finanziamenti per la linea ferroviaria tra la stazione di Mestre e il porto, ovviamente apprezzabili, per l'area industriale non sembrano esserci fondi». Lo afferma il consigliere comunale Gianfranco Bettin (Venezia Verde progressista). «Si rischia di perdere un’occasione storica».

Oggi il Recovery italiano del premier Mario Draghi va in Parlamento e la politica locale riflette sulla destinazione delle risorse europee: 750 miliardi di euro in risposta alla crisi pandemica, di cui 191,5 miliardi di euro per l'Italia. Ulteriori 30,6 miliardi sono parte di un Fondo complementare finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri il 15 aprile, per un totale d'investimenti di 222,1 miliardi di euro. Il Piano include riforme che toccano gli ambiti della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa e della concorrenza. Si tratta di un intervento epocale, si legge sul sito del governo italiano, che intende riparare i danni economici e sociali della crisi pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia italiana e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e ambientale.  Il Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e contribuisce a favorire l’inclusione sociale e a ridurre i divari territoriali. Il 27 per cento del Piano è dedicato alla digitalizzazione, il 40 per cento agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico, e più del 10 per cento alla coesione sociale.

Riguardo a Porto Marghera, per Bettin il fatto che sia assente nel piano italiano è in controtendenza rispetto alle indicazioni dell’Unione europea, «che puntano alla rigenerazione e alla bonifica di aree industriali ai fini di una loro riconversione. Nell'area industriale veneziana - continua il consigliere - nessun investitore si fa carico dei costi che il disinquinamento del sito comporta. Il rischio è che preziose e vaste aree riutilizzabili restino abbandonate e da bonificare. L’Italia, storicamente, si è giovata di Marghera per il miracolo economico nazionale e il decollo del nord est. Ma i costi, i guasti, ambientali e sociali, sono stati pagati localmente - afferma - Solo un investimento nazionale le può restituire i terreni a nuovi usi. Che il Pnnr lo ignori è causa di delusione e preoccupazione - conclude - anche perché permane l’incertezza sui piani di Eni: a fronte dell’annuncio di chiusura del cracking non sembra esserci una strategia di riconversione e rilancio. Il deposito di gpl da 50 mila metri cubi annunciato oltre a insistere sul “fossile” sembra assegnare a Marghera il ruolo di sede di impianti pericolosi. La città dovrebbe farsi sentire».

«Che senso ha proibire un impianto Gpl a Chioggia perché ritenuto, giustamente, pericoloso e autorizzarne uno cinque volte più grande a Porto Marghera?», chiedono i due consiglieri regionali veneziani del Partito Democratico, Francesca Zottis e Jonatan Montanariello, a proposito del progetto di Eni -. È una scelta incomprensibile e contraddittoria, vista anche la decisione di Eni di chiudere il cracking - affermano -. Sono due impianti simili, se si eccettuano le dimensioni e soprattutto la spesa, poiché in teoria quello di Porto Marghera costerà 15 milioni anziché 35. Eravamo contrari al deposito di Chioggia, a ridosso del centro, e siamo contrari a questo: stoccare 50 mila metri cubi fronte laguna non è un’ipotesi che ci lascia tranquilli».

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