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Tetto agli stranieri nelle scuole mestrine, Cgil contraria: "Servono mediatori culturali"

La questione è stata sollevata dopo che alla Giulio Cesare si è stabilito di fissare il limite al 40%. Sono quasi tutti bengalesi, il che non facilita l'integrazione. "Messaggio sbagliato"

Un limite alla percentuale di nuovi iscritti stranieri a scuola rispetto agli italiani. Ma Cgil non è d'accordo e propone soluzioni alternative. Se ne parla negli ultimi tempi perché la dirigente dell'istituto Giulio Cesare di Mestre ha annunciato l'intenzione di fissare per il prossimo anno scolastico il tetto al 40%, decisione legata a questioni di integrazione: i bambini, infatti, appartengono per la stragrande maggioranza a una sola etnia (bengalese), con il rischio che nelle classi manchi quell'interazione tra nazionalità diverse che sarebbe necessaria.

Sul tema c'è una circolare ministeriale del 2010 che parla di un tetto del 30%, mentre il consiglio di istituto ha stabilito una deroga al 40%. "Osservando i numeri degli alunni stranieri iscritti alla scuola - scrive Flc Cgil in un comunicato - Si comprende bene il servizio di accoglienza finora svolto dalla scuola. Le percentuali di frequenza degli alunni stranieri della primaria sono mediamente del 68% e quelle della secondaria di primo grado del 47,5%. Questo perché negli ultimi anni la denatalità delle famiglie italiane, sommata ai ricongiungimenti familiari degli stranieri, ha comportato una prevalenza netta di alunni stranieri".

"Di fronte ad una situazione di emergenza - fa notare il sindacato - vanno però trovate soluzioni adeguate. L’ipotesi paventata è quella di istituire un servizio di pullmini per trasportare in altre scuole gli alunni stranieri eccedenti la percentuale del 40%. Un servizio costoso, pluriennale, dall’organizzazione non semplicissima". La FLC Cgil respinge questa idea proponendo di "reperire dei facilitatori linguistici (probabilmente uno per plesso, a seconda della consistenza numerica) che possano affiancare le maestre, fare da intermediari con i genitori dei piccoli. Organizzare dei veri e propri moduli (come si fa in altri Stati europei) per una prima conoscenza della lingua della comunicazione".

"Il messaggio che verrebbe dato alle famiglie - conclude Cgil - Sarebbe decisamente positivo e non creerebbe il problema di accuse di discriminazione. È ora di investire sull’accoglienza, non basandosi solo sulla buona volontà, l’intelligenza, le capacità progettuali dei docenti. Se è vero che  questi ragazzi saranno i nostri cittadini di domani, se è vero già oggi che sono figli di lavoratori che danno il loro fattivo contributo al territorio, perché sradicarli dalle strutture scolastiche vicine alla loro residenza? Perché rischiare di far perdere il posto a docenti che già oggi hanno molta più esperienza di altri nell’integrazione?".

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