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Lunedì, 29 Aprile 2024
Il processo

Estorsione ai danni della Btime: una condanna e un'assoluzione

Si è concluso il processo al veneziano Fabio Gianduzzo e a Rudi D'Altoè, di Roncade. Il primo è stato ritenuto colpevole e ha ricevuto 6 anni e 6 mesi di reclusione

Fabio Gianduzzo, 57enne della provincia di Venezia, condannato a 6 anni e 6 mesi; Rudi D'Altoè, 47enne di Roncade (Treviso), assolto. Si è concluso così il processo per quella che la procura di Treviso ritiene essere stata una colossale estorsione aggravata continuata, avvenuta tra il 2020 e il 2021 ai danni di Renato Celotto e Michele Gallà, della Btime Italia. La notizia è riportata da TrevisoToday.

A Gianduzzo è stata anche applicata una provvisionale in favore delle due parti lese pari a 7mila euro, a fronte di richieste di 30mila euro da parte di Celotto e di 6 milioni di euro da parte di Gallà. Il risarcimento del danno sarà adesso deciso da un diverso procedimento civile. Il pubblico ministero Gabriella Cama aveva chiesto 9 anni per Gianduzzo, difeso dall'avvocato Giuseppe Muzzupappa, e 7 anni per D'Altoè, difeso dall'avvocato Carlo Bermone. Il legale di Gianduzzo ha annunciato che presenterà appello.

Secondo l'accusa, Gianduzzo avrebbe agito assieme al 54enne Edi Biasol (che ha invece patteggiato) come "riscossore" di un presunto debito che D'Altoè aveva nei confronti di Celotto, al tempo consulente del centro commerciale Tom Village di Santa Maria di Sala. Un debito di quasi 3 milioni e mezzo di euro, cifra di cui Celotto si sarebbe appropriato. Gli imputati avrebbero quindi "espropriato" di fatto l'azienda dalla sua legittima proprietà, sottoponendo le due vittime a crescenti minacce di natura fisica.

«Ho passato un anno e mezzo d'inferno, con continua richieste di denaro e pestaggi. Alla fine si sono insinuati nelle mie aziende e ho pensato fosse arrivato il momento di denunciare quello che stavo subendo», aveva detto Renato Celotto. D'Altoè, su cui si era espresso il tribunale del riesame annullando l'ordinanza di misura cautelare, aveva dato la sua versione, presentando le fatture insolute «che dimostrano che quello che dico è vero. Non so nulla di quanto accaduto dopo, sono stato tirato dentro a questa storia dell'estorsione senza aver fatto niente».

«Una volta, parlando con Gianduzzo, - aveva detto D'Altoè nel corso dell'interrogatorio di garanzia davanti al gip di Treviso - mi ha chiesto come andassero gli affari e gli ho detto che avanzavo mezzo milione da Celotto per alcuni lavori presso il centro commerciale "Tom" di Santa Maria di Sala. A quel punto lui mi ha detto che lo conosceva e che se volevo si sarebbe interessato per farmi avere i soldi. Mi ha anche chiesto una percentuale pari al 20%, richiesta che, piuttosto di perdere tutto il credito, ho accettato. Ho le prove di quello che dico perché sono in possesso ancora di tutte le fatture. Celotto non le ha mai pagate, altrimenti tiri fuori i documenti che lo provano. Dalla conversazione con Gianduzzo non ho più saputo nulla, come avevo già detto ai carabinieri circa un anno fa quando mi sentirono come persona informata sui fatti su cui stavano indagando».

Celotto, a sua volta, era finito nell'inchiesta sul centro commerciale "Tom Village", dichiarato fallito dopo che sarebbe stato svuotato di tutto il suo patrimonio. Per questa ragione (la storia è collegata all'estorsione, anche se l'indagine sulla bancarotta è della procura di Venezia) erano finiti ai domiciliari sia l'imprenditore che altre due persone. I riscontri del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Venezia hanno messo in luce che i tre avrebbero avuto un ruolo determinante nella parabola amara del Tom Village, fallito a febbraio 2021 con un buco da 34 milioni di euro e ora sotto la guida di una nuova gestione che nulla ha a che vedere con i fatti dell'inchiesta. A loro erano anche stati stati sequestrati (in solido con altre cinque persone e due società) quasi 7 milioni di euro, ovvero parte del corrispettivo delle azione messe in piedi per svuotare le casse del centro commerciale.

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