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«Io ferita e dolorante per 23 ore al Pronto soccorso». La denuncia e la replica dell'Ulss 3

Il racconto di una paziente che si è rivolta all'Angelo giovedì, dopo aver battuto la testa durante una caduta in bicicletta. Il commento dell'azienda sanitaria su quella notte

Cade mentre è in bicicletta, arriva al Pronto soccorso dell'Angelo a Mestre con botte dappertutto, un trauma cranico, ferite e dolori. E lì ci rimane per quasi 23 ore. Brutta avventura per una giovane, S.S., che dopo la sera di giovedì, quando le è successo l'incidente sulle due ruote che l'ha portata a rivolgersi all'ospedale, ha deciso di rendere pubblica la sua esperienza. «Non è una lettera di lamentele sul personale sanitario o su quanto mi è accaduto, ma vuole essere un'occasione per mettere in luce l'attuale situazione critica del Pronto soccorso e possibilmente contribuire a migliorarla», esordisce.

«Mi sono trovata ad attendere un elevato numero di ore senza avere diagnosi - racconta - il desk dell'area verde a cui mi sono rivolta più volte mi ha dato solo alcune informazioni parziali, e solo dopo 17 ore di attesa mi è stato detto di chiedere al triage. Lì ho conosciuto la mia diagnosi, mentre un infermiere sollecitava telefonicamente l'Ortopedia». Poi di nuovo in attesa. «Ho assistito a passaggi di presa in carico tra personale del Pronto soccorso e Ortopedia», ma alla fine la giovane torna a casa senza fare la tac né una risonanza al capo, come si aspettava e avrebbe voluto. «Non mi è stato chiesto, prima delle dimissioni, se avessi ancora mal di testa. La prima visita l'ho fatta 11 ore dopo il mio arrivo all'ospedale - rammenta - un tempo inammissibile per verificare un trauma cranico».

Riferisce poi l'aspetto dell'attesa vigile durante le ore notturne. «Ho visto che i pazienti dovevano stare attenti, pena la perdita del turno in caso di mancata risposta alla chiamata del loro numero, e fra loro anche anziani o persone sofferenti. Penso - dice - si dovrebbero fornire cuscini e coperte alle persone in attesa, anche perché la sala era gelida». Difficile, conclude, anche avere dell'acqua. «I distributori sono a pagamento e se non si dispone di monete si rischia di non mangiare né bere per ore. Ma più semplicemente ho visto anche una persona con problemi motori che non riusciva a raggiungere il bagno non ha avuto alcuna assistenza: ad aiutarla è intervenuto un altro paziente. Situazioni paradossali, che si sommavano a tutto il resto. Alla fine sono rimasta più di 20 ore ad aspettare una visita ortopedica, che tardava ad arrivare a causa di disguidi con gli ambulatori. Nell'augurarmi che la mia odissea non ricapiti ad altri, non intendo incolpare né il personale sanitario né i pazienti, ritengo che sia doveroso che tutto questo non capiti più».

La replica dell'Ulss 3

«Il Pronto soccorso dell'ospedale dell'Angelo (come quello di ogni altro ospedale dell'Ulss 3) assicura incessantemente la più profonda dedizione dei suoi sanitari nei confronti dei pazienti: professionisti impegnati notte e giorno a gestire una mole sempre più importante di accessi, anche quelli impropri e di minore gravità (codici bianchi) che potrebbero essere ordinariamente gestiti dal medico curante - commenta in una nota l'azienda sanitaria - La signora è giunta al Pronto soccorso di Mestre con un codice bianco per una caduta in bicicletta. Dopo essere stata presa in carico e prima di essere curata, proprio perché il suo è stato subito valutato come trauma di lieve entità, la signora ha dovuto attendere il suo turno, poiché hanno avuto legittima priorità rispetto al suo caso le urgenze di chi si trovava in pericolo di vita o condizioni di alta e media gravità. Sono gravi le affermazioni della signora che ritraggono un Pronto soccorso in grado di dimenticare esami e diagnosi, o la stessa che pretende di insegnare ai medici quali indagini diagnostiche debbano essere fatte per valutare il suo caso: sono stati effettuati tutti gli esami e le radiografie necessarie. La signora è stata visitata, sottoposta ad esami, curata, fasciata e poi dimessa. La tac che pretendeva di effettuare non è stata prescritta, poiché si trattava di un trauma di lieve entità in una donna molto giovane ed esente da fattori di rischio».

«Certo non ha aiutato la chiamata di una parente della signora al Pronto soccorso, la quale insisteva per la somministrazione alla paziente di antidolorifici e intimava ai medici di chiamare i media per denunciare i tempi di attesa: non è fomentando questo clima astioso che si aiuta il personale a svolgere con serenità e senza interruzione il proprio lavoro a servizio della cittadinanza. Un lavoro, lo ricordiamo ancora una volta, provato in tutta Italia dalla carenza endemica e sempre più importante di personale medico e infermieristico, che l'azienda sanitaria cerca di sanare con tutti i mezzi messi a disposizione dalla normativa nazionale e regionale. Non corrisponde infine al vero, come affermato dalla signora, che i pazienti in attesa devono rimanere svegli sotto la minaccia di perdere il proprio turno di visita se non rispondono alla chiamata: il Pronto soccorso non è un panificio dove si attende in fila il proprio turno, ma un luogo che gestisce l'emergenza e che valuta l'accesso dei pazienti con un sistema di priorità in base all'urgenza. Ogni paziente in sala d'attesa, anche quello in codice bianco, viene chiamato e raggiunto fisicamente dall'assistente di sala o dall'infermiere, per essere poi accompagnato in ambulatorio per le visite o per gli esami».

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