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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

Dito puntato contro Airbnb: appartamenti decuplicati, Venezia solo per turisti

Sempre più alloggi affittati tramite la piattaforma web, esplosione in terraferma. Murray Cox, studioso del fenomeno: "Così le piccole città muoiono, serve l'intervento delle istituzioni"

Nel giro di due anni si è passati da 2.672 a quasi 4 mila alloggi disponibili su Airbnb a Venezia. E in altre zone è anche peggio: numeri più che raddoppiati nelle isole (da 147 a 391) e decuplicati tra Mestre e Marghera, dove oggi ci sono oltre 3mila appartamenti disponibili. Tutti per turisti, utenti della piattaforma web americana che propone posti letto nelle abitazioni senza passare per agenzie o simili. Ne parla Murray Cox, fotografo ed informatico australiano - ora residente a New York - che si trova in laguna per studiare il fenomeno: è ospite dell'associazione Reset e del VeneziaProject del professor Fabio Carrera, che da 25 anni insegna il tema al Worchester Polyetechnic Institute. Lo riportano i quotidiani locali.

Un business fuori controllo

Uno sguardo ai dati fa capire che è stato completamente stravolto il senso originale di Airbnb, che era nato per dare la possibilità ai residenti di sfruttare una stanza inutilizzata del proprio alloggio e guadagnare qualche extra affittandola ai visitatori in modalità b&b. Oggi, in assenza di regole, il fenomeno è esploso senza limiti e rischia di distruggere la città: chi è proprietario di un appartamento a Venezia ci guadagna più di 3mila euro al mese, con una garanzia di occupazione dell'80 per cento dei giorni dell'anno. Toglie spazio al mercato residenziale, così la città si svuota dei suoi abitanti. E il problema si allarga: a Marghera si arriva a ricavare 1700 euro, a Mestre centro 1800. Da notare che a Venezia oltre la metà degli appartamenti è offerta da proprietari che hanno più case.

"Servono regole"

Intanto le istituzioni, sempre secondo Cox, faticano ad affrontare il problema. In Europa ottenere il cambio d'uso da residenziale a ricettivo è troppo facile, a differenza che in America dove il procedimento è più complicato. Airbnb "nasconde" i dati, e così è difficile risalire ai proprietari immobiliari: l'attività di queste persone dovrebbero quantomeno rientrare nell'ambito imprenditoriale, "costringendole" a dotarsi di partita iva e quindi, almeno, a pagare le tasse. Altre soluzioni? L'obbligo di affittare su queste piattaforme solo una parte della casa in cui si vive, o solo quando si è in vacanza, e comunque per non più di 90 giorni l'anno. In due mesi di studio il fotografo (che ha già collaborato sullo stesso tema con le amministrazioni di San Francisco, New York, Amsterdam, Minneapolis) tirerà le somme del fenomeno in laguna e proporrà le sue "ricette".

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