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Cronaca

Il genio di Pollock vola a Firenze, "Alchimia" controllato e restaurato

Il quadro che più di tutti rappresenta l'arte del maestro newyorkese ha lasciato le sale della Guggenheim di Venezia per raggiungere l'Opd toscano

“Solo quando perdo il contatto con il quadro il risultato è caotico" disse Jackson Pollock in una dichiarazione pubblicata su “Possibilities”, uscita a New York nel 1948, sfatando il mito dell'assoluta casualità, appena un anno dopo le prime opere con la tecnica dello sgocciolamento (dripping), di cui “Alchimia” fa parte.

CAPOLAVORO AL MICROSCOPIO - “Alchimia”, un dipinto di oltre un metro per due, alle prime luci dell'alba di lunedì ha lasciato la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e ha preso la strada dell'Opificio delle Pietre Dure (Opd), a Firenze. È l'avvio della seconda fase di un progetto di ricerca, unico in Italia e nella sua complessità forse nel mondo, che al fine di giungere a una diagnosi sullo “stato di salute” dell'opera - così come per le altre nove acquisite da Peggy tra il 1942 e il 1947 presenti in Collezione - permetterà di “entrare” nel mondo Pollock, di destrutturare idealmente il suo lavoro, di leggere ogni goccia di colore, sia esso pittura d'alluminio o smalto industriale. La prima fase dello studio, attraverso tecniche non invasive, compiuta direttamente nelle sale della Collezione, affacciata sul Canal Grande, ha dato le prime informazioni sui materiali e sulla tecnica, con l'individuazione dei pigmenti e leganti usati dall'artista. Nei saloni dell'Opificio, dove è in corso il restauro di un'altra icona della storia dell'arte, L'Adorazione dei Magi di Leonardo, l'analisi si concentrerà su un unico dipinto del maestro dell'Action Painting, di un artista che in pochi anni la critica statunitense assunse ad emblema dell'arte di un intero Paese.

GOCCE DI GENIO - L'intervento di conservazione sarà eseguito da Luciano Pensabene Buemi, conservatore della Collezione Peggy Guggenheim, Carol Stringari, conservatore capo del museo Guggenheim di New York, e dal laboratorio di dipinti del'Opd. Al progetto partecipano conservatori, curatori e scientisti americani che hanno svolto negli Usa studi e interventi sulle opere di Pollock. "In 'Alchimia' ci sono tutte le opere di Pollock. È il lavoro più complesso fatto all'inizio della sua storia con il dripping. È un punto di rottura fondamentale tra un prima e un dopo. È dove l'artista sembra sperimentare di più" rilevano il direttore Philip Rylands e Luciano Pensabene Buemi. Se le prime analisi sul campo hanno permesso di stabilire una sorta di abc del processo creativo e compositivo di Pollock - "i nostri dipinti testimoniano il momento di evoluzione della tecnica, dalla pittura ad olio al nuovo utilizzo di resine alchidiche e smalti industriali, ma rivelano anche tutto ciò che invece nella tecnica di Pollock continua ad essere costante, come lo strato preparatorio, o l'uso di alcuni pigmenti" ricorda il conservatore - dalla fase due ci si aspetta di scrivere pagine nuove per conoscere l'universo di “Jack the Dripper” come scrisse il “Time”.

RESTAURI E CONTROLLI - Sul piano operativo lo scopo è capire se e come procedere con la pulitura del dipinto - "sarà una grande sorpresa ciò che vedremo tolta la polvere di decenni" sottolinea Rylands -, ma sul piano generale potrebbero essere aggiunti elementi fondamentali per aiutare a stabilire una discriminante certa tra un vero Pollock dalle quotazioni in milioni di dollari e una patacca. ''Attraverso un'analisi non invasiva - spiega Costanza Miliani, dell'Istm-Cnr -si possono studiare i Pollock certi e con la definizione dei materiali aggiungere un tassello importante per l'autentificazione di un'opera". "Questo tipo di esperienza - le fa eco Marco Ciatti, Soprintendente dell'Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro, riferendosi in particolare allo studio di 'Alchimia' - sarà anche importante perché potremo capire com'è fatta l'opera, quali fenomeni patologici sono eventualmente in corso, rispetto ai materiali usati. Come operare nel progetto di pulitura, o in presenza o meno di distacchi della pellicola. Capire com'è la 'struttura portante' su cui si poggia, cioè la tela e il telaio". Non sembri un particolare di poco conto, quest'ultimo, visto che l'artista disse: "la mia pittura non nasce dal cavalletto". Stendere la tela sul pavimento gli permetteva di compiere quell'insieme di gesto e azione che alla fine si traduceva in "armonia totale".

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