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Cronaca San Michele al Tagliamento

Gli affari della camorra sulle sagre, in arresto anche il presidente Ascom Bibione

Nove persone portate in carcere stamattina. Il gruppo avrebbe esercitato il controllo sui banchi ambulanti con minacce ed estorsioni, ci sarebbero state pressioni anche su un assessore di San Michele. Sequestrati contanti per 100 mila euro e una pistola

L'indagine dell'antimafia e della polizia finanziaria di Trieste ha portato alla luce gli interessi di un gruppo di matrice camorrista sulle sagre nell'area del litorale tra Veneto e Friuli. Nove persone sono state arrestate stamattina e portate in carcere, tra cui Giuseppe Morsanuto, 54enne presidente dell'Ascom di Bibione ed ex vicesindaco di San Michele al Tagliamento. Gli altri sono quasi tutti originari della Campania, ma da molti anni gravitano nel nordest gestendo banchi in vari mercati: secondo gli investigatori il gruppo è contiguo al clan Licciardi di Napoli e, nella gestione del proprio business, avrebbe attuato estorsioni con metodi mafiosi.

L’uomo ritenuto a capo del gruppo è Pietro D’Antonio, 60 anni, originario di Cercola (Napoli) e residente a Latisana (Udine). In carcere sono finiti anche Renato e Beniamino D'Antonio, Gennaro e Salvatore Carrano (tutti residenti a San Michele), Raffaele e Salvatore Biancolino, Zefferino Pasian (residente a Concordia). Nel corso delle perquisizioni è stata trovata una pistola con matricola abrasa, oltre ad una somma in contanti equivalente a circa 100 mila euro in corone ceche.

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Foto: Giuseppe Morsanuto

Le vicende più significative risalgono all'estate 2020, in occasione dei mercatini "I giovedì del Lido del Sole" di Bibione. I commercianti della cosca vennero esclusi perché non avevano pagato le quote associative e reagirono con le intimidazioni: il 13 agosto portarono un camion all'interno dell'area dei mercatini per impedire il passaggio agli altri ambulanti, dopodiché andarono banco per banco da coloro che si erano già posizionati e li minacciarono.

La cosa proseguì anche in altre occasioni nel corso dell'estate: un gruppetto di uomini del clan si presentava al mercato e passava davanti alle bancarelle minacciando gli ambulanti "regolari", picchiando il pugno sulla mano aperta o con altri atteggiamenti di disturbo. Stando ai risultati delle indagini, Morsanuto, presidente dell'Ascom Bibione, sarebbe intervenuto in più momenti per appoggiare gli affari del gruppo, condividendone le modalità organizzative e facendo da intermediario per convincere chi non era d'accordo. Anche perché gli ambulanti, come ricostruito nell'ordinanza di custodia cautelare, «lo tenevano in pugno grazie al ricatto di non garantirgli i voti per la rielezione alla presidenza della delegazione della Confcommercio di zona in caso di inottemperanze alle loro direttive».

I camorristi avrebbero fatto pressioni anche sull'assessore al Commercio di San Michele al Tagliamento. Pietro D'Antonio, ottenuto il numero di cellulare dell'assessore da Morsanutto, l'avrebbe contattata intimandola di trovare il modo di far entrare i "suoi" nella sagra. Dopodiché l'avrebbe anche fatta pedinare.

I movimenti della cosca, comunque, erano già noti e tenuti sotto controllo da tempo. Sono stati intercettati dialoghi in cui, parlando di mercati e sagre, chiarivano il concetto che «quella era roba loro». Qualche mese prima il "capo", come ritorsione di una presunta mancanza di rispetto nei confronti del figlio, convocò un commerciante sulla spiaggia di Lignano e lo minacciò portando con sé un coltello. «Adesso avete capito chi comanda», aveva concluso in quell'occasione. In altri momenti, per risultare ancora più convincenti, i criminali avevano sostenuto di avere delle armi.

Le loro attività spaziavano in vari settori del commercio. Gestivano dei negozi, soprattutto d'estate, mentre tra l'autunno e l'inverno partecipavano a mercati comunali settimanali e andavano anche in trasferta, prendendo parte a fiere in Austria, Germania, Repubblica Ceca. La merce in vendita - abbigliamento, accessori, oggetti vari - veniva comprata a basso prezzo e poi falsificata, aumentando i ricavi dalla vendita. Uno dei principali indagati, secondo la ricostruzione della Dia, avrebbe accumulato un grosso patrimonio illecito fin dal 2016 grazie alla vendita in nero di merce contraffatta, in parte depositato in conti correnti esteri.

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