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Cronaca Dorsoduro / Fondamenta Santa Maria Maggiore

Abusi a Santa Maria Maggiore, per il giudice la cella dell'orrore è reale

Uno spazio freddo e buio, utilizzato dai secondini per punire i detenuti, sarebbe uno dei motivi del suicidio in carcere di Cherib Dedibyaul

Una cella buia fredda e senza acqua, dove i detenuti stranieri venivano messi “in punizione”, e un giovane carcerato marocchino che, proprio a causa delle vessazioni subite in prigione, ha deciso di uccidersi tra le mura di Santa Maria Maggiore, impiccandosi con una coperta: questi gli elementi del processo contro le guardie penitenziarie veneziane che venerdì pomeriggio ha visto concludersi l'udienza preliminare. Il bilancio di questo primo giorno in aula, come riportano i quotidiani locali, è di una condanna con la formula del rito abbreviato, tre rinvii a giudizio e due assoluzioni.

ABUSI DIETRO LE SBARRE – A far scattare la macchina legale è stato, nel 2009, il suicidio di un giovane marocchino, Cherib Dedibyaul. Lo straniero era stato uno dei “clienti abituali” della cella 408, una stanza tetra e scomoda che i secondini utilizzavano come una sorta di isolamento per punire i detenuti problematici e nel marzo di cinque anni fa, dopo averci già provato diverse volte, il ragazzo è riuscito a togliersi la vita sfruttando una coperta come cappio. Solo allora il pubblico ministero ha avviato l’inchiesta sostenendo che le guardie non avrebbero adeguatamente sorvegliato Dedibyaulcon. Nel processo si è costituto parte civile un altro detenuto, sempre straniero, che negli anni di carcerazione ha sempre segnalato le varie irregolarità di Santa Maria Maggiore.

DELITTO E CASTIGO – Ora è arrivato il primo verdetto del giudice: l’ex responsabile del reparto delle guardie penitenziarie dovrà scontare 11 mesi con l’accusa di omicidio colposo e di abuso di autorità. Per tre agenti, anche loro accusati di eccesso di autorità contro gli arrestati e i detenuti, è stato invece disposto il rinvio a giudizio al 10 aprile. Uno dei tre in realtà era accusato anche di concorso in omicidio colposo. A “salvarsi” sono gli altri due agenti coinvolti nell'inchiesta della Procura di Venezia: per loro è stato disposto il non luogo a procedere ed è stata così riconosciuta la loro estraneità ai fatti.

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