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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Alexandru Ianosi morto suicida nel carcere di Venezia

È stato trovato senza vita questa mattina, 21 giugno. Era rinchiuso dal settembre 2022 per l'omicidio della compagna Lilia Patranjel

Suicidio in carcere a Venezia. Il secondo in meno di tre settimane. La persona trovata senza vita nel bagno della cella al Santa Maria Maggiore è Alexandru Ianosi Andreeva Dimitrova. L'uomo, 36 anni, originario della Romania, si trova nell'istituto penitenziario dal 23 settembre 2022 per aver massacrato la moglie Lilia Patranjel, 45enne moldava, con oltre 80 coltellate nella loro casa di via Mantegna a Spinea. Il 6 giugno si era tolto la vita Bassem Degachi, di 39 anni, al quale era stata revocata la semilibertà per una misura cautelare in carcere disposta per reati che aveva commesso cinque anni fa.

A diffondere la notizia è stato il sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). «Purtroppo, il pur tempestivo intervento dell'agente di servizio non è servito a salvare l'uomo, che è stato trovato impiccato alle sbarre della cella», dice Giovanni Vona, segretario Sappe Triveneto. Un episodio grave e doloroso: «Abbiamo sempre detto - aggiunge Vona - che la morte di un detenuto è una sconfitta per lo Stato. Già un mese fa abbiamo segnalato la gravità del momento storico, la carenza di personale, i turni massacranti. Di recente, a Venezia, c'è stato anche un tentativo di fuga, sventato. Abbiamo avvisato, congiuntamente con tutti i sindacati, gli uffici superiori e il prefetto di Venezia». Ianosi, peraltro, aveva già manifestato tendenze autolesioniste in passato: poco dopo essere entrato in carcere si era ferito gravemente, infilandosi il manico di una scopa in un occhio. E negli ultimi giorni aveva espresso il suo stato di sofferenza. Aveva confidato di aver paura di compiere un'azione sconsiderata, ed era nella zona controllata. L'ergastolo non era scontato alla prossima udienza prevista a luglio. Tuttavia aveva l'appoggio dei suoi avvocati. Gli unici a fargli visita da settembre.

Per Donato Capece, segretario generale del sindacato, «la via più netta e radicale per fermare queste disgrazie sarebbe quella di un ripensamento complessivo della funzione della pena e, al suo interno, del ruolo del carcere. Il suicidio di un detenuto rappresenta un forte stress per il personale di polizia e per gli altri detenuti; sconforta che le autorità politiche, penitenziarie ministeriali e regionali, pur in presenza di inquietanti eventi critici, non assumano adeguati ed urgenti provvedimenti».

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